Incertezza, questa secondo noi la parola chiave per interpretare correttamente il mercato delle costruzioni in questi primi sei mesi del 2016. Come incertezza, direte voi, ma se i dati appena pubblicati dal Cresme per quel che riguarda la vendita di macchine da cantiere nei primi sei mesi fanno segnare un +20%?
E se a questo, continuerete a dire, si aggiunge che ormai dal febbraio 2014 che si cresce in continuazione e che il numero delle macchine vendute per il movimento terra e i lavori stradali è cresciuto di addirittura del 54% nel primo semestre 2016 rispetto allo stesso periodo del 2014?
Tutto molto bello, tutto molto giusto e tutto molto “statisticamente” corretto, noi però non ci sentiamo troppo di stappare champagne per una serie di motivi che potremmo definire “qualitativi” e che vi spiegheremo più avanti nell’articolo.
Intendeteci, la crescita c’è ed è costante, ma se si guardano più nel dettaglio i dati, soprattutto ragionando sul sistema reale delle imprese, qualche scricchiolio da tenere sotto controllo c’è ancora. E non è per fare i gufi, ma, semplicemente, per consentire alle imprese (che poi creano lavoro) di ragionare su basi più estese di qualche numerino magico, che fa tanto “efficienza”, ma rischia, appunto, di dar adito a sonore delusioni…
Parlavamo di concretezza e imprese; e qui c’è un’altro dei dati che sfuggono alle statistiche del Cresme che riporta, forzatamente ci sentiamo di dire, dati aggregati di vendita.
Dietro alle vendite c’è, infatti, il mercato che, in sostanza, oggi più che mai, significa numero di bandi e aggiudicazioni. E qui c’è stato un dato dolente. Dall’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti che, tra l’altro, ha rigorosamente (finalmente!) regimentato le gare al massimo ribasso (non sono più possibili per gare oltre il milione di euro), i bandi sono crollati (una ripresa è visibile solo a luglio). Tutto ciò si spiega con la necessità degli Enti appaltanti di adeguarsi alle nuove prescrizioni normative (soprattutto all’eliminazione dell’appalto integrato e al fatto che le gare si baseranno sul progetto esecutivo e non su quello definitivo).
Nel complesso il Codice è un buon passo avanti, soprattutto per l’eliminazione delle gare al massimo ribasso (che tanto sangue hanno sparso fra le imprese), ma, in sostanza, ha di fatto rallentato, almeno in molte parti d’Italia, l’emissione delle gare e di conseguenza genererà una riduzione dei lavori disponibili nel breve periodo.
Dicevamo poi del pericolo di basarsi sui dati aggregati: ci sono zone d’Italia che, di fatto, non hanno risentito quasi della crisi (o ne hanno risentito molto poco), altre che si sono riprese prima perché il loro tessuto produttivo ha imparato a internazionalizzarsi velocemente (e quindi ha più risorse per costruire), altre ancora che sono ancora “ai minimi termini”. La crisi ha acuito questa diversificazione, già presente anche prima del 2009, portando la forbice a livelli davvero insostenibili. Senza entrare troppo nel dettaglio ci sono intere aree geografiche che hanno visto scomparire del tutto le imprese di costruzioni importanti, come diretta conseguenza della drastica e simultanea riduzione degli Appalti pubblici e delle commesse private.
Poi ci sono i fattori che indirettamente fotografano il mercato; uno fra questi è la disponibilità dell’usato e la capacità di spesa che le imprese italiane possono mettere in campo per acquisirlo. E’ ufficiale, attualmente in Italia l’usato decente è praticamente finito, le imprese tendono a spremere al massimo il parco macchine a propria disposizione (con buona pace dell’efficienza di cui sopra) e le permute per l’acquisto di nuovo sono davvero poche.
Gli specialisti di intermediazione (siano essi le grandi aste, i siti online o i venditori tradizionali di usato) sono concordi nel dichiarare che non si riscontra una ripresa nel flusso di usato e che, quando questo è disponibile, difficilmente viene acquistato da imprese italiane. Le realtà internazionali (e questo mercato è da tempo davvero molto globalizzato) hanno capacità di spesa decisamente superiore alle nostre imprese e questo ci porta all’ultima riflessione.
Com’è possibile che la stessa macchina venga pagata da un acquirente estero anche il 30% in più di quanto può spendere al massimo un italiano? L’unica risposta possibile si chiama redditività aziendale, aiutata da condizioni ambientali decisamente migliori, come, ad esempio, una regolarità dei pagamenti molto più rispettata, termini di pagamento a più breve termine, un mercato delle costruzioni che riconosce un valore più alto al lavoro rispetto all’Italia, con conseguente aumento delle capacità di investimento (in usato, nuovo o noleggio non importa) decisamente maggiori.
E in questi camp che bisogna migliorare, dopo aver appreso con soddisfazione i dati comunicati da Cresme. Con parametri ambientali di questo tipo, il mercato cresce del 20%, con miglioramenti strutturali, quanto potenziale avrebbero le imprese italiane? Molto, ma molto di più…