Statistica, croce e delizia

Incertezza, questa secondo noi la parola chiave per interpretare correttamente il mercato delle costruzioni in questi primi sei mesi del 2016. Come incertezza, direte voi, ma se i dati appena pubblicati dal Cresme per quel che riguarda la vendita di macchine da cantiere nei primi sei mesi fanno segnare un +20%?

E se a questo, continuerete a dire, si aggiunge che ormai dal febbraio 2014 che si cresce in continuazione e che il numero delle macchine vendute per il movimento terra e i lavori stradali è cresciuto di addirittura del 54% nel primo semestre 2016 rispetto allo stesso periodo del 2014?

Tutto molto bello, tutto molto giusto e tutto molto “statisticamente” corretto, noi però non ci sentiamo troppo di stappare champagne per una serie di motivi che potremmo definire “qualitativi” e che vi spiegheremo più avanti nell’articolo.

Intendeteci, la crescita c’è ed è costante, ma se si guardano più nel dettaglio i dati, soprattutto ragionando sul sistema reale delle imprese, qualche scricchiolio da tenere sotto controllo c’è ancora. E non è per fare i gufi, ma, semplicemente, per consentire alle imprese (che poi creano lavoro) di ragionare su basi più estese di qualche numerino magico, che fa tanto “efficienza”, ma rischia, appunto, di dar adito a sonore delusioni…

Il “sottile” fascino dei numeri

I più bravi fra gli analisti definiscono i dati del settore delle macchine (soprattutto per certe tipologie) come liminari; ci spieghiamo meglio e cerchiamo di “parlare come mangiamo”: letteralmente liminare vuol dire superficiale, in questo caso più correttamente molto sottile. Su certi tipi di macchine i numeri sono talmente risicati che la vendita anche di un solo mezzo in più può stravolgere le statistiche e far declamare al +100% (o a un calo altrettanto importante) quando nella realtà le macchine vendute  in più o in meno sono addirittura 2 o 3.

E questo, in misura minore, vale anche per i numeri più in generale, dato che per i primi sei mesi stiamo parlando di un totale di macchine vendute di 4.838 unità, in crescita di 807 rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Mica poche! (dirà sempre qualcuno di voi). Certo, vi risponderemo, ma calcolate che 720 di queste sono macchine compatte (miniescavatori, skid e motocarriole), quindi, se si parla di “roba” sostanziosa in termini di fatturato (e anche di lavori importanti) la crescita reale in numero di mezzi si riduce a 87.

Per essere corretti fino in fondo, bisogna “purificare” ulteriormente quest’ultimo numero, scorporando il crollo (perchè di questo si tratta) che ha colpito i sollevatori telescopici che contano ben 124 unità in meno rispetto ai primi sei mesi del 2015. Quindi il totale in crescita delle macchine sostanziose arriva a un più consolante valore di 211.

211 per tutta Italia, un Paese da 60 milioni di abitanti con decine di migliaia di imprese attive (o almeno che esistono come ragione sociale). Questo è il dato, secondo noi, da evidenziare per essere concreti.

E concreti non vuole dire pessimisti, anzi. Concretezza è il termine che dovrebbero scolpire su pietra tutte le imprese italiane, per evitare i bagni di sangue a cui, purtroppo, la storia di questi quasi 10 anni di crisi ci ha abituato.

Concretezza vuol dire sapere fare bene i conti (e tante imprese non sanno da che parte cominciare), saper valutare al meglio le gare di appalto, gestire con efficienza risorse e rinnovare il parco macchine nell’ottica della produttività operativa. Così, e non basandosi solo sulle percentuali, si ricostruirà un settore che tanto ha dato all’Italia e altrettanto ha sofferto (nelle sue parti anche migliori) negli ultimi anni.

C’è impresa e impresa e zona e zona

Parlavamo di concretezza e imprese; e qui c’è un’altro dei dati che sfuggono alle statistiche del Cresme che riporta, forzatamente ci sentiamo di dire, dati aggregati di vendita.

Dietro alle vendite c’è, infatti, il mercato che, in sostanza, oggi più che mai, significa numero di bandi e aggiudicazioni. E qui c’è stato un dato dolente. Dall’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti che, tra l’altro, ha rigorosamente (finalmente!) regimentato le gare al massimo ribasso (non sono più possibili per gare oltre il milione di euro), i bandi sono crollati (una ripresa è visibile solo a luglio). Tutto ciò si spiega con la necessità degli Enti appaltanti di adeguarsi alle nuove prescrizioni normative (soprattutto all’eliminazione dell’appalto integrato e al fatto che le gare si baseranno sul progetto esecutivo e non su quello definitivo).

Nel complesso il Codice è un buon passo avanti, soprattutto per l’eliminazione delle gare al massimo ribasso (che tanto sangue hanno sparso fra le imprese), ma, in sostanza, ha di fatto rallentato, almeno in molte parti d’Italia, l’emissione delle gare e di conseguenza genererà una riduzione dei lavori disponibili nel breve periodo.

Dicevamo poi del pericolo di basarsi sui dati aggregati: ci sono zone d’Italia che, di fatto, non hanno risentito quasi della crisi (o ne hanno risentito molto poco), altre che si sono riprese prima perché il loro tessuto produttivo ha imparato a internazionalizzarsi velocemente (e quindi ha più risorse per costruire), altre ancora che sono ancora “ai minimi termini”. La crisi ha acuito questa diversificazione, già presente anche prima del 2009, portando la forbice a livelli davvero insostenibili. Senza entrare troppo nel dettaglio ci sono intere aree geografiche che hanno visto scomparire del tutto le imprese di costruzioni importanti, come diretta conseguenza della drastica e simultanea riduzione degli Appalti pubblici e delle commesse private.

 


C’è poi anche una grande disparità tra imprese: c’è chi sta semplicemente aspettando che la burrasca passi, sperando poi di ricominciare come niente fosse e chi, invece, ha imparato a specializzarsi, difersificare, internazionalizzare. In tutti questi casi le imprese (usiamo un termine da fighetti) overperformano il mercato, riuscendo ad avere un orizzonte di lavoro più lungo, migliore redditività e in, definitiva, più potere di acquisto. E qui il famoso pollo di Trilussa (ricordate? se ci sono tre polli e tre persone, ma una ne ha tre e le altre nessuno, due muoiono di fame, ma la media dice che ognuno ha un pollo) mostra la faccia più feroce: c’è chi sta lavorando come e più di prima e chi, invece, fatica davvero tanto, con conseguenti crisi di liquidità, problemi con il sistema bancario (che, non vogliamo ripeterci, non è per nulla “amichevole” con il segmento delle costruzioni) e, in definitiva poca o nulla capacità di acquisto per rimodernare le flotte.

L’usato che non c’è più

Poi ci sono i fattori che indirettamente fotografano il mercato; uno fra questi è la disponibilità dell’usato e la capacità di spesa che le imprese italiane possono mettere in campo per acquisirlo. E’ ufficiale, attualmente in Italia l’usato decente è praticamente finito, le imprese tendono a spremere al massimo il parco macchine a propria disposizione (con buona pace dell’efficienza di cui sopra) e le permute per l’acquisto di nuovo sono davvero poche.

Gli specialisti di intermediazione (siano essi le grandi aste, i siti online o i venditori tradizionali di usato) sono concordi nel dichiarare che non si riscontra una ripresa nel flusso di usato e che, quando questo è disponibile, difficilmente viene acquistato da imprese italiane. Le realtà internazionali (e questo mercato è da tempo davvero molto globalizzato) hanno capacità di spesa decisamente superiore alle nostre imprese  e questo ci porta all’ultima riflessione.

Com’è possibile che la stessa macchina venga pagata da un acquirente estero anche il 30% in più di quanto può spendere al massimo un italiano? L’unica risposta possibile si chiama redditività aziendale, aiutata da condizioni ambientali decisamente migliori, come, ad esempio, una regolarità dei pagamenti molto più rispettata, termini di pagamento a più breve termine, un mercato delle costruzioni che riconosce un valore più alto al lavoro rispetto all’Italia, con conseguente aumento delle capacità di investimento (in usato, nuovo o noleggio non importa) decisamente maggiori.

E in questi camp che bisogna migliorare, dopo aver appreso con soddisfazione i dati comunicati da Cresme. Con parametri ambientali di questo tipo, il mercato cresce del 20%, con miglioramenti strutturali, quanto potenziale avrebbero le imprese italiane? Molto, ma molto di più